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Montroni: i libri che cambiano la vita

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foto (2)Un libro può cambiare la vita. A Torino arriva Romano Montroni e presenta il suo I libri ti cambiano la vita (Longanesi) con Stefano Salis e alcuni dei cento scrittori che ha coinvolto: Giuseppe Culicchia, Paolo Giordano e Bruno Gambarotta. «L’idea è semplice, e me l’hanno copiata in tanti. Io l’ho avuta nel luglio 2011, e con Longanesi l’abbiamo realizzata. Sono partito da un fatto: parlando di libri incuriosisci. Non c’è suggeritore migliore di chi ha letto il libro e lo racconta. Una volta i librai chiacchieravano coi lettori, oggi suggeriscono, segnalano, e la qualità del suggeritore è fondamentale. Chi meglio degli scrittori? I loro suggerimenti danno il valore che il libro ha per chi è abituato a leggere. Meglio di una recensione: descrivere l’emozione che gli ha provocato un libro».

In fondo, dice Montroni citando un’email che Lucio Dalla gli ha spedito pochi giorni prima di morire: “dei libri non mi stanco mai”. «Quando un libro ti apre delle porte diventa un tuo riferimento. Vito Mancuso scopre la Bibbia a 16 anni, e scopre una vita». Il libro diventa un modo di scoprire la libreria emotiva dell’autore.

Gambarotta parla di «interventi istintivi, cantieri a cuore aperto», ma non tutti sono così: «è bellissimo quello di Renata Colorni, direttrice dei Meridiani Mondadori, che ha parlato di Freud. Augias invece è un po’ un pallone gonfiato, e fa un elenco e dice che non c’è spazio. Io, quando a Bologna, alla libreria Ambasciatori, Romano mi ha chiesto di partecipare, non ho avuto dubbi: L’isola del tesoro di Stevenson. Da bambino ascoltavo le donne chiacchierare fuori dal negozio di mia zia, e lì nasce mia passione per gossip e romanzi rosa. Un giorno mia zia mi mette in mano Stevenson, ed era la storia di uno che aspettava il ritorno del padre dalla guerra. Era la mia storia. Ero io, lì, seduto sul gradino del negozio di mia zia, e aspettavo. Stevenson era un narratore, che ti prende, ti afferra e non ti molla più».

Culicchia invece cita Fiesta di Hemingway. «Mia sorella aveva libri non destinati a me, per grandi, e un giorno inciampo in Fiesta, a 12 anni. Non capivo il problema di Jack con le donne, ma quel libro mi sembrava vicino anche se lontano: parlava con una lingua parlata, con tutte le parole del vocabolario. Di solito ti fanno cominciare alle scuole medie con Il vecchio e il mare, ma è sbagliato, non puoi capire la metafora. Invece Fiesta, con questo rincorrersi, con un finale devastante che ti apre tante strade… Lì ho desiderato per la prima volta a scrivere. E quando Montroni mi ha chiamato, come se invitasse tutti a tavola, dicendo di portare qualcosa da condividere, non ho avuto dubbi. Ho partecipato perché ho potuto parlare del mio mito letterario, Hemingway, col mio mito librario, Montroni. Curioso: quando lavoravo in libreria non ci siamo mai incrociati, è successo dopo».

Giordano invece era partito con una lista non sincera, poi la sua compagna l’ha fermato, e «sulla scia delle emozioni momentanee, nello scorso autunno, in un periodo in cui erano esplose “bombe” nella mia famiglia e mi faceva sentire la necessità del legame familiare, ho scelto La pastorale americana di Philip Roth. Sono partito dalla mia situazione personale».

Montroni, che ha nel cuore I ragazzi della via Pal («che mi mise in mano da ragazzino Amadori, mentre ero fattorino della sua libreria»), è contento del suo volume, anche perché ribadiscono un concetto a cui tiene molto: «i testi scelti ribadiscono l’importanza dei librai. Tra i 30mila libri all’anno che arrivano, il librario deve far vivere, proponendoli e tenendoli esposti, libri classici, preziosi: i long seller. Quando anni fa per la prima volta mi dissero di prestare più attenzione agli “altovendenti” capii che era il primo passo per invertire un modo di essere librai».

E oggi, in piena crisi dell’editoria, con tanti discorsi sul digitale, il libraio Romano provoca: «dicono che l’iPad sia per le informazioni, il libro per le sensazioni. Il mio libro dà entrambe!»


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