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L’impossibile fuga al Salone del libro

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foto_brizziLa terza edizione del “Premio Fedrigoni – Giornate per la traduzione letteraria” va a Pino Cacucci. È stato annunciato oggi, e verrà consegnato il 28 settembre a Urbino. «È una sorta di premio alla carriera», ha scherzato lo scrittore bolognese, che da molti anni traduce autori latinoamericani, non sa nemmeno lui quanti: «tempo fa ho messo via un’enciclopedia, e ho liberato spazio per i miei libri da traduttore». Da “autore invisibile”, come si dice. Cacucci ha dato voce italiana a scrittori come Paco Ignacio Taibo II o Francisco Coloane. Autori centro e sudamericani, di un mondo che gli è caro, e che nell’immaginario comune (ma anche in molti suoi libri, da Punti di fuga e Puerto Escondido) è un orizzonte di fuga e rinascita. Non un eldorado banale, ma una prospettiva da cui ripartire.

Il tema dell’evasione, della fuga, serpeggia qua al Salone di Torino, ed è stato toccato anche da autori bolognesi. Si evade, o si cerca di farlo, prima di tutto da una situazione soffocante. Che può essere ad esempio la fabbrica, o addirittura un lavoro fisso. «Siamo invasi da una letteratura che racconta il dramma del lavoro precario, ma non è che quello fisso faccia sempre bene: comporta vedere le stesse persone tutti i giorni, nello stesso luogo, con le stesse dinamiche», ha detto Saverio Fattori, presentando 12:47 Strage in fabbrica (Gaffi), storia di un operaio che decide di attuare una strage sul suo posto di lavoro, un atto di violenza omicida contro un atto di violenza umiliante nei suoi confronti, in condizioni di lavoro sempre meno accettabili.

Nella situazione soffocante c’è quindi un punto di rottura, e la necessità di trovare altre strade. C’è però chi racconta che anche cercare nuove strade, nuove forme di conoscenza, non sempre è facile. Tra questi, Enrico Brizzi ed Ermanno Cavazzoni. Il primo, presentando La legge della giungla (Laterza), racconta che ha incontrato non pochi sguardi guardinghi quando ha iniziato i suoi cammini per l’Italia: «quando ci vedevano arrivare a piedi, cosa incredibile, ci chiedevano sempre: ma state scappando da qualcuno?» Sono passati sei anni dall’uscita del suo libro sul viaggio a piedi dall’Argentario al Conero, e nel frattempo ha percorso l’Italia dalla sua vetta al profondo sud e camminato lungo la Linea Gotica, la via Francigena, fino in Israele. «Ora (da lunedì) faccio a piedi il percorso di Garibaldi dopo la caduta della Repubblica, da Roma a Venezia».

La sua non è una fuga, ma una ricerca, di altri modi di conoscere: «d’altronde nel medioevo camminare era considerato una preghiera. E io sinceramente ho a che fare con l’Assoluto più in un bosco o su un crinale che non in una chiesa».

foto_cavazzoniUna situazione eremitica, lontana da tutto, a contatto con la natura. Come quella che sognerebbe Ermanno Cavazzoni, se solo fosse possibile. Sì, perché nell’incontro dal titolo significativo Scappare dalla rete ha disegnato un quadro politico-tecnologico-burocratico-sociale da cui la fuga è impensabile. Una società «ordinata», in cui la rete provvede e provvederà sempre più a ordinare ogni cosa. «Il problema è: e chi vuol mollare tutto e fare l’eremita?», Cavazzoni rivendica il «sacrosanto diritto di staccarsi dal consorzio umano», una pratica che distingue l’uomo dalla formica, ma che ormai è inattuabile, tra documenti, oggetti, bollette che ci perseguitano, ed Equitalia che ci insegue ovunque. E poi un eremita un tempo era una figura stimata, oggi uno che abbandona tutto risulterebbe «un cinico, un senza cuore». Cavazzoni consiglia allora un «eremitaggio programmato»: può farlo solo uno scapolo, deve avvertire tutti, vendere la macchina se la possiede, chiudere le utenze, convincere il fisco che vivrà senza reddito («è lo scoglio più difficile»), e dopo un paio d’anni di code interminabili negli uffici partire. Per andare dove? «Ovunque vada, ci sono problemi»: il campeggio abusivo, l’abusivismo edilizio se si costruisce una capanna, e poi «non è possibile non appartenere a nessuno Stato, perché tutte le terre sono divise».

Resta il mare. Una barca e acque internazionali, affidandosi al vento, «che non è sotto brevetto». Ma può portare la barca a riva, «e l’eremita diventa un immigrato clandestino», così riparte la trafila di uffici e documenti. «Do un consiglio: vivete in acque internazionali», facendo attenzione a non avvicinarsi mai alla terra. Ci saranno molti altri problemi, «ma la notte si guarda un immenso cielo. Questo una formica non lo fa».


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